Enrica Tesio e la sua stanchezza, che è anche la nostra

Enrica Tesio e la sua stanchezza, che è anche la nostra

Ricordo un’intervista di qualche tempo fa in cui un giovane Baricco rispondeva alla fatidica domanda sul perché avesse iniziato a scrivere libri con una risposta altrettanto fatidica: ho iniziato a scrivere per leggere finalmente le cose che mi piacciono. Chiudeva il cerchio scrittore e lettore in un unico anello perfetto.

 

Nessuno mi ha mai posto la stessa questione, allora lo faccio adesso, da sola. Ho iniziato a scrivere perché avevo qualcuno che mi leggeva, sembrerebbe una boutade paradossale, ma grazie al web e al mio blog ho avuto un pubblico prima di aver avuto un libro, un pubblico di lettori, tra l’altro, molto più benevolo di quanto lo sia mai stata io, criticona con la puzza sotto il naso che non sono altro.

 

 

Che fortuna essere cresciuta come autrice insieme a quel pubblico di lettori e soprattutto di lettrici, in un gioco di rimandi speculari e di mani alzate, di anche io come te.

 

Tutta la stanchezza del mondo è questo, un piccolo saggio personalissimo e insieme corale che racconta la fatica del quotidiano con la presunzione di lavarla via. Stanchezza è stata la parola magica, quella che tutti pronunciavamo soprattutto dopo il Covid ma che pochi avevano raccontato, la chiave della mia vita da adulta che ha aperto tante porte.

 

Dopo due anni dalla pubblicazione la signorina al muro della copertina mi accompagna ancora come un’amica e, come un’amica, mi fa sorridere, mi fa riflettere su di noi popolo dei multistanching, sui tranelli del superomismo e superdonnismo a cui abbiamo abboccato, ma soprattutto sulla fatica più grande che non ho trattato nei dodici capitoli ma che resiste sottotraccia, la fatica della solitudine.

 

Non parlo della solitudine necessaria che anzi ricarica e riposa, riconcilia e annulla i rumori inutili, parlo dell’isolamento nell’affrontare la vita senza poterne dividere e condividere i carichi e anche le gioie. In fondo anche Ercole si fece accompagnare in alcune delle sue dodici imprese.

Ecco, Tutta la stanchezza del mondo è stato scritto per non sentirmi sola ed è stato letto per fare compagnia, per quel coro dell’anche io come te. La fortuna del memoir e dell’autofiction credo che risieda tutta lì, nel bisogno di ritrovarsi e sentirsi parte. I detrattori se ne lamentano: troppo ombelico! Dicono Dov’è finito il grande romanzo d’invenzione? Ma forse si dimenticano che cosa pazzesca sia un ombelico, il nodo della vita individuale ma anche il filo, un cordone ideale che tutti ci stringe e ci origina.

 

Chiudo queste poche righe con un augurio a me stessa e a chi legge, qualche verso di una mia filastrocca che si intitolava proprio Ode alla stanchezza.

 

Stanchezza mia, fatti capanna,
accoglimi, cullami, fammi la nanna.
Stanchezza amica affondami adagio
sii il mare dolce nel fiero naufragio.
Stanchezza allegra, coniglio di Alice,
io voglio morire stanca e felice.
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