Le canzoni di gesta dei vassalli ribelli raccolte
in questo volume sono opera di anonimi
e fantasiosi copisti-autori: la più antica è Girart
de Roussillon, della metà del XII secolo; attorno
al 1200 si collocano Raoul de Cambrai, Renaut
de Montauban, La Chevalerie Ogier; più tarda
è la canzone di Huon de Bordeaux, 1260 ca.
Nel Renaut de Montauban, qui tradotto per
intero, Rinaldo e i suoi tre fratelli sono protagonisti
di vicende indimenticabili: l’agguato mortale
a Valcolor, la costruzione e la perdita di possenti
castelli, la vita grama nella foresta, il drammatico
incontro con il padre Aimone e con la madre,
dopo sette anni di vagabondaggio. Nelle altre
canzoni – di ciascuna è tradotta circa la metà,
con le parti più significative – incontriamo
la feroce faida di Raoul di Cambrai, nobile
e valoroso, ma prigioniero di un’ossessione che
lo condurrà fatalmente alla morte; le imprese
di Girart di Roussillon, orgoglioso difensore,
tra l’appoggio leale di Folco e le malvagità
sanguinarie di Boson, dell’autonomia del suo
castello, l’«allodio» di Roussillon; le traversie
di Uggeri il Danese, con il suo espatrio in Italia,
con la sua sete di vendetta, con la sua solitaria
e imprendibile fortezza, Castel Fort. Questo
groviglio di conflitti feudali, segnato dalla catena
delle vendette, da scene di improvvisa e insensata
violenza – come in quelle famose con la mortale
scacchiera – non impedisce il dispiegarsi
del comico, con Malagigi, furfante dalle mille
risorse, capace ripetutamente di beffare il re,
con la fantasmagoria dell’Huon de Bordeaux,
dove le sapide ingenuità di Huon sono corrette
dalle apparizioni e dalle capricciose magie
dell’alato folletto Auberon.
Questo volume permette di cogliere come fenomeno
unitario, grazie all’ampia raccolta di testi, tradotti
per la prima volta in italiano – ed è un’assoluta
novità nel panorama editoriale – una delle
manifestazioni più suggestive della letteratura
francese medievale. Sono le «canzoni di gesta»
dei vassalli ribelli. È una lotta senza tregua tra
un sovrano ottuso, invidioso e malevolo, e i migliori
baroni del regno, gelosi della loro autonomia:
non vale la parola data, non vale il salvacondotto.
I disegni del re – ora Carlomagno, ora Carlo
Martello – conoscono solo astuzia e tradimento,
ma nella sua stessa corte c’è chi lo contesta perché
vorrebbe una politica meno losca, più pragmatica
e conciliatrice. Lo svolgersi delle storie è scandito
dalle scene del «consiglio», dove, sia nella corte
del re che nei castelli dei baroni, si dibattono
accesamente – in uno spazio dove regna la libertà
di parola – le ragioni della guerra e della pace.
Sono testi caratterizzati da una sorprendente
polifonia: ora la tonalità è eroica e guerresca,
segnata dalla traccia sanguinosa delle vendette,
ora drammatica, per l’irrompere di clamorosi
imprevisti, per l’alternarsi di vittorie e di sconfitte,
per il rovesciarsi delle alleanze, ora sentimentale
– per l’apparire di intense figure femminili – ora
calata in un concreto, spesso realismo, ora aperta
ai travestimenti e alle imprese della magia, ora
attraversata da una festosa ventata di comicità.
In queste storie iscritte nel cuore dei conflitti
feudali, ma anche dominate dai valori aristocratici
della lealtà, della generosità e dell’onore, ritroviamo
la stessa favolosa aura dei poemi di Boiardo
e di Ariosto, del Signore degli anelli e del Trono
di spade: è il misterioso fascino della meraviglia e
del racconto.